
Onere della prova e risarcimento del danno in tema responsabilità medica da nascita indesiderata
Qual è l’onere della prova richiesto ai genitori per ottenere il risarcimento del danno causato dall’omessa informazione, da parte del medico, della sussistenza dei presupposti di legge per l’interruzione volontaria della gravidanza?
In tema di onere della prova nel caso di responsabilità medica c.d. da nascita indesiderata, i genitori che agiscono in proprio e quali rappresentanti legali del nascituro al fine di vedersi riconosciuto il risarcimento del danno causato dall’omessa informazione, da parte del medico, e quindi la sussistenza dei presupposti di legge per l’interruzione volontaria della gravidanza, che ai sensi dell’art. 6, lett. B, L. 22 maggio 1978, n.194 ricorre tutte le volte che si è in presenza di «processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna», possono assolvere quest’onere tramite la c.d. “praesumptio hominis”.
A tal proposito, i Giudici di legittimità della terza sezione civile con la sentenza n. 25849 del 31 ottobre 2017 hanno richiamato la giurisprudenza delle Sezioni Unite, secondo cui, «in tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza ricorrendone le condizioni di legge ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale; quest’onere può essere assolto tramite “praesumptio hominis“, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psicofisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale.».
La Suprema Corte, nella sentenza testé citata, ribadisce altresì come «La ricordata giurisprudenza, viceversa, non richiede, per procedere mediante presunzioni, che ci si trovi di fronte ad una malformazione grave, nè tantomeno che questa patologia affligga necessariamente le capacità intellettive del nato.»
Tant’è vero che nella L. n. 194 del 1978, art. 6, lett. B è espressamente previsto che «idonei a determinare “un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” che legittimi l’eccezionale possibilità di farsi luogo, dopo i primi 90 giorni di gravidanza, alla relativa interruzione, sono “rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro”».
Si segnala:
- Cass. civ. Sez. 3, Sent., (ud. 13/09/2017) 31102017, n. 25849;
- Cass. civ. Sez. 3, Sent., 11042017, n. 9251;
- Cass., S.U., 22 dicembre 2015, n. 25767.